Crocifissione di Cesare Villata

Cesare Villata è nato a Torino nel 1928 e ci ha lasciati dieci anni or sono, nel 2004, dopo aver duramente lottato contro una malattia incurabile.
La sua formazione è classica: dal liceo classico presso il Collegio San Giuseppe di Torino, alle facoltà umanistiche (lettere e filosofia), per passare a quelle tecniche (ingegneria al Politecnico di Torino) al fine di colmare le sue inarrestabili curiosità e sete di cultura. Ha anche frequentato per breve tempo la facoltà di medicina sostenendo gli esami di anatomia per meglio comprendere e quindi esprimere con il disegno il corpo umano.
Ha frequentato le botteghe d'arte in auge a quel tempo, ma da persona molto schiva ed anticonformista quale era, ha sempre rifiutato il mondo legato alle Gallerie d'Arte, da Lui definito solamente "salottiero".
Cesare Villata ha sempre avuto un legame molto forte con la Città di Caselle. Proprio qui ha trovato i suoi più cari amici (da Gigi Manina a Domenico Musci) che lo hanno stimolato ed incitato a fare delle mostre di pittura. Da sempre è stato socio del Circolo Culturale La Forgia la quale ha organizzato, nel tempo, numerose personali.
Cesare Villata si è anche occupato di restauro pittorico conservativo, intervenendo in senso filologico su alcuni edifici sacri casellesi.

Nella barocca e bellissima Confraternita dei Battuti è conservata la “Crocifissione” dipinta ad olio su tavola negli anni 80 del novecento da Villata.
Ai piedi di Gesù Cristo crocifisso vi sono due donne: una con la veste di colore blu che potrebbe essere identificata con Maria madre di Gesù (l'iconografica cristiana classica vuole che il vestito della Madonna sia blu) e l'altra potrebbe essere Maria di Magdala, o di Cleofa? Per i Vangeli canonici le tre Maria sono  appunto identificate con la Madre di Gesù, con la Maddalena e con Maria di Cleofa (anche se per Marco una di esse è Salomè...). I drappeggi delle vesti delle due donne sono morbidissimi e sottolineano le forme del corpo che insieme alla forte espressività dei volti emanano un profondo senso di dolore.
La drammaticità del dipinto è esaltata dai giochi di luce di caravaggesca memoria, dal forte contrasto chiaro/scuro, dalla plasticità del corpo di Cristo abbandonato alla morte e scivolato lungo la croce di sproporzionata grandezza. Le mani inchiodate sorreggono il corpo di Gesù che con tutto il suo peso cede alla forza di gravità e cede alla morte terrena.
Il dualismo vita/morte, luce/ombra pervade il dipinto: davanti alla croce, bianchi fiori (che rimandano alle tele del casalese Magnocavallo ed alla sua bottega) contrastano con  ramoscelli rinsecchiti;  le lamate di luce sui volti delle donne contrastano il pallore cadaverico del corpo di Gesù che si staglia flessuoso dal plumbeo cielo.
Questa, tavola che per stile ben si inserisce con la tipologia settecentesca della Confraternita, ci  conferma, oltre la conclamata capacità pittorica di Cesare Villata, una solida base culturale al servizio di una possente sensibilità artistica.

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